Sulla decadenza della domanda riconvenzionale relativa all’assegno divorzile

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La Prima Sezione Civile della Cassazione, con sentenza n.7653, depositata in data 28 marzo 2007, ha ribadito il principio secondo il quale il termine per la costituzione del coniuge convenuto e quello di secadenza dello stesso per la formulazione delle domande riconvenzionali, compresa quella di riconoscimento dell’assegno divorzile, decorre dall’udienza dinanzi al Giudice Istruttore.
Resta ferma la ritualità della domanda riconvenzionale relativa all’assegno divorzile già proposta con la comparsa di risposta dinanzi al Presidente del tribunale.
Ecco la Sentenza per esteso:
 


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE


SEZIONE PRIMA CIVILE


SENTENZA 28 marzo 2007, n. 7653


(Presidente De Musis – Relatore Felicetti)


 


Svolgimento del processo


1. Giancarlo F., con ricorso 27 dicembre 2000 al tribunale di Milano, chiedeva che fosse pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio civile da lui contratto con Maria Giuseppina B.. Quest’ultima si costituiva il 5 gennaio 2001, con comparsa depositata all’udienza presidenziale, chiedendo, fra l’altro, un assegno di mantenimento per sé ed altro assegno per la figlia minore. Il F. eccepiva la decadenza della convenuta dalla domanda riconvenzionale relativa all’assegno divorzile, per non essere stata regolarmente proposta. Il Presidente del tribunale, stante tale eccezione, si limitava ad affidare alla Barbara la figlia minore, ad assegnarle la casa coniugale e ad attribuirlo un assegno per il mantenimento della minore. Rimesso le parti dinanzi al giudice istruttore, consentendovi il F., veniva disposto un assegno provvisorio anche in favore della Barbara.


Quindi il tribunale, con sentenza 19 dicembre 2002, pronunciava lo scioglimento del matrimonio. affidava la figlia minore alla Barbara, alla quale assegnava, la casa coniugale e un assegno per il mantenimento della minore, mentre rigettava la domanda relativa all’assegno divorzile, ritenendola inammissibile perché tardiva.


Avverso la sentenza la B. proponeva appello alla Corte di appello di Milano, che veniva rigettato con sentenza 11 novembre 2003, notificata il 9 dicembre 2003. Tale sentenza è stata impugnata dinanzi a questa Corte dalla Barbieri, con ricorso notificato il 2 febbraio 2004 al F., il quale resiste con controricorso notificato il giorno 8 marzo 2004. La ricorrente ha anche depositato memoria.


Motivi della decisione


1 Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte di appello rigettato il motivo con il quale si deduceva la violazione dell’articolo 112 c.p.c., avendo il tribunale pronunciato lo scioglimento del matrimonio, mentre era stata richiesta una pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Si deduce al riguardo che trattandosi di matrimonio civile, la domanda di cessazione degli effetti civili era improponibile e quindi andava rigettata. Erroneamente, quindi, la Corte di appello aveva ritenuto che potze ncro pronunciato lo scioglimento del matrimonio, trattandosi della mera “correzione dei termini giuridici nei quali l’istanza era stata erroneamente proposta”. La domanda formulata, infatti, era sostanzialmente diversa da quella accolta, stanti le differenze fra matrimonio religioso e matrimonio civile, con le conseguenti differenti pronunce adottabili in modo di giudizio di divorzio.


Il motivo è infondato.


Esattamente, infatti, la Corte di appello ha ritenuto che la domanda di scioglimento del matrimonio – formulata in relazione ad un matrimonio concordatario quale era quello contratto dalla parti ‑ dovesse essere interpretata come domanda di cessazione degli affetti civili dal matrimonio, in attuazione del potere di qualificazione della stessa spettante al giudice e correttamente esercitato attraverso la esatta individuazione del petitum, da identificarsi in relazione all’oggetto dal giudizio ad al fine perseguito dalla parte, in esatti termini giuridici.


2 Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 4 della legge 898/70, come modificato dalla legge 74/1987, per avere la Corte di appello ritenuto l’udienza presidenziale prevista da tale norma coincidente con quella prevista dall’articolo 180 c.p.c., e pertanto identificando in essa l’udienza oltre la quale si verificano le preclusioni e decadenza di cui all’articolo 167 c.p.c., con la conseguente inammissibilità della domanda relativa all’assegno divorzile proposta con comparsa di risposta depositata nell’udienza presidenziale. Tale statuizione sarebbe erronea, dovendosi considerare, nel procedimento divorzile, udienza di prima comparizione, al fini del formarsi delle preclusioni e decadenze di cui all’articolo 167 c.p.c., l’udienza dinanzi al giudice istruttore.


Il motivo è fondato.


Secondo un’altra interpretazione del testo dell’articolo 4 della legge 898/70, come modificato dall’articolo 8 legge 6 marzo 1987 (applicabile anche in tema di separazione giudiziale dei coniugi, in virtù e nei limiti della disposizione di cui all’articolo 23), alla natura fin dall’origine contenziosa dei procedimenti di separazione giudiziale e di scioglimento del matrimonio non si accompagna l’assimilabilità dell’udienza presidenziale di comparizione dei coniugi ‑ avente unicamente la finalità di dare luogo al tentativo di conciliazione e, in caso di esito negativo, di adottare i provvedimenti temporanei ed urgenti e fissare l’udienza dinanzi al giudice nominato per il prosieguo del giudizio ‑ all’udienza prevista dall’articolo 180 c.p.c.


Ne deriva che, riguardo ai termini per la costituzione del coniuge convenuto e a quelli di decadenza dello stesso per la formulazione delle domande riconvenzionali – ivi compresa quella di riconoscimento dell’assegno divorzile ‑ quale udienza di prima comparizione, rilevante ai sensi dell’articolo 180 c.p.c. e degli articolo 166 e 167 c.p.c., deve intendersi esclusivamente quella innanzi al giudice nominato all’esito della fase presidenziale (in tal senso, da ultimo, Cassazione, 2625/06; 4903/04; 10914/02), fermo restando la ritualità della domanda riconvenzionale relativa all’assegno divorziale già proposta con la comparsa di risposta dinanzi al presidente del tribunale (Cassazione 18116/05).


3 Con Il terzo motivo si denuncia l’omesso esame del motivo di appello con il quale si censurava che il tribunale, in sentenza, avesse dichiarato cessato, dalla data di pubblicazione della sentenza medesima, l’obbligo di corrispondere ad essa ricorrente l’assegno provvisorio di mantenimento attribuitole con il consenso del marito, senza tenere conto che sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio i coniugi sono in regime di separazione, e il suddetto assegno doveva pertanto continuare ad essere corrisposto.


Anche tale motivo è fondato, avendo effettivamente la Corte di appello omesso completamente il suo esame.


Va invece dichiarato assorbito il quarto motivo. con il quale si denuncia la violazione dell’articolo 91 c.p.c. , per avere la corte di appello erroneamente condannato essa ricorrente alle spese del giudizio.


La sentenza va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Milano in diversa composizione anche per la spese del giudizio di cassazione.


PQM


La Corte di cassazione. Accoglie il secondo e il terzo motivo. Rigetta il primo. Dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.


 

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