Il reato di violenza assistita: la definizione e la punibilità

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La legge, come noto, punisce ogni forma di violenza, sia fisica che morale.
Da questo assunto, ne discende che deve essere condannato il singolo soggetto, che cagiona anche abusi psicologici.
Nel caso de quo, dobbiamo porre l’accento sul reato della violenza assistita.
La violenza assistita è una species del più ampio genus del reato di maltrattamenti, disciplinato ai sensi e per gli effetti dell’articolo 572 cp., punito dalla legge con la reclusione da tre a sette anni.
Orbene, analizzando, ora, il tenore testuale della norma ci dobbiamo chiedere cosa si intende per maltrattamenti.
Questi sono dei veri e propri abusi cagionati in maniera continuativa ai danni della vittima, sia di natura fisica che psicologica.
Ne consegue che, affinché si possa configurare il reato di maltrattamenti, occorre non solo la presenza di abusi abituali ma anche la coabitazione delle parti.
Fatta questa doverosa premessa, dobbiamo comprendere il reato di violenza assistita.
La violenza assistita non è un reato autonomo bensì un’aggravante del reato di maltrattamenti, al consumarsi della quale la pena, che va dai tre ai sette anni, viene aumentata.
Si configura il reato di violenza assistita quando i maltrattamenti avvengono in presenza di minorenni, donne incinte o persone disabili.
La violenza assistita è un tipico esempio di maltrattamento indiretto, che si può configurare sia con condotte squisitamente delittuose, che con condotte vessatorie.
La violenza assistita è sanzionata con un aumento della pena a carico del reo dei maltrattamenti nella misura del cinquanta per cento.
Il suddetto reato è procedibile d’ufficio:
Va precisato che la legge ha statuito una particolare procedura d’urgenza per il reato di maltrattamenti, nota con il nome di codice rosso.
La polizia, una volta raccolta la denuncia della vittima del reato, deve immediatamente trasmetterla al Pubblico Ministero, il quale ha il dovere di ascoltare immediatamente la vittima entro il termine di perentorio tre giorni.
Una volta acquisite le prime informazioni, in caso di particolare gravità, il Pubblico Ministero chiede al Giudice delle Indagini Preliminari l’adozione di una misura cautelare finalizzata a proteggere la vittima dei maltrattamenti, tra cui annoveriano l’allontanamento del responsabile dalla casa e il divieto di avvicinamento alla vittima.
La ratio sottesa a tale norma non è solo quella di tutelare la vittima del reato ma anche dell’intero nucleo famigliare, poiché, per consolidato orientamento giurisprudenziale, possiamo sostenere che la condotta di violenza e/o sopraffazione, che un componente di un famiglia cagiona ai danni di un singolo famigliare, si riverbera sull’intera comunità, provocando stress, sofferenza, turbamenti e umiliazioni.
Coerenziando con quanto sopra esposto, ne consegue che, dinanzi ad una condotta violenta, perpetrata tra le mure domestiche, tutti i componenti della famiglia vengono coinvolti, non esiste una sola vittima del reato, recte parte offesa, ragione per la quale, non bisogna mai pensare al reato di violenza assistita come un reato autonomo, ma come un aggravante del reato di maltrattamenti contro famigliari e conviventi.
Bene ha fatto il nostro legislatore ad inasprire le pene, con l’auspicio che, ora in avanti, vengano maggiormente tutelati i soggetti vulnerabili ( minori e/o persone con disabilità, donne incinte)
Roma, 21.11.2023

Avvocato Valentina Di Bartolomeo (Socia AMI Lazio)

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