Separazione: titolo di studio e giovane età non escludono il mantenimento

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Il titolo di ragioneria e la giovane età non sono sufficienti a ritenere sussistente l’effettiva possibilità di svolgere un’attività lavorativa retribuita: l’ex coniuge ha diritto all’assegno di mantenimento dopo la separazione

Dopo aver pronunciato lo separazione personale tra i coniugi, il Tribunale di Tivoli (sentenza n. 1182/2019) ha posto a carico del marito un assegno mensile di mantenimento, quantificato in 100, euro da corrispondere all’ex moglie.

Nel giudizio era emerso che la donna fosse pacificamente priva di reddito, avendo da sempre svolto il ruolo di casalinga, nonché priva di patrimonio immobiliare.

Come noto, l’art. 156, comma 1, c.c. prevede che il giudice possa stabilire a favore del coniuge, al quale non sia addebitata la separazione, un contributo al mantenimento posto a carico dell’altro coniuge, ove ricorrano i seguenti presupposti: a) al coniuge beneficiario non deve essere addebitata la separazione; b) il richiedente deve essere privo di «adeguati redditi propri»; c) l’altro coniuge deve avere i mezzi idonei a far fronte al pagamento dell’assegno.

Il diritto all’assegno di mantenimento

In particolare, “A norma dell’art. 156 c.c., il diritto all’assegno di mantenimento sorge nella separazione personale a favore del coniuge cui essa non sia addebitabile, quando questi non fruisca di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello esistente durante il matrimonio e sussista disparità economica tra i coniugi; il tenore di vita al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi, sicché dell’incremento dei redditi di uno di essi occorre tener conto ai fini dell’imposizione dell’assegno anche se verificatosi nelle more del giudizio di separazione (come nella specie) ovvero successivamente alla separazione” (Cass., Sez. I, n. 12131/2001).

Occorrerà valutare i redditi attuali del richiedente, le concrete possibilità di lavoro (tenuto conto delle attitudini, della personalità, della necessità di accudire i figli ecc.), nonché i cespiti patrimoniali e ogni attività economicamente valutabile, pur se improduttiva di reddito immediata; tale valutazione globale, poi, dovrà essere estesa al coniuge obbligato.

L’attitudine al lavoro

Per quanto riguarda l’attitudine al lavoro la giurisprudenza di legittimità ha precisato che essa assume rilievo solo se comporti l’effettiva possibilità di svolgere un’attività lavorativa retribuita e, quindi non in termini astratti e ipotesi.

Il Tribunale di Tivoli ha anche rilevato che laddove i coniugi, durante la convivenza abbiano concordato (anche implicitamente) che uno di essi non lavori, l’efficacia di tale accordo – secondo una giurisprudenza ormai consolidata – permane anche dopo la separazione: ne consegue che un coniuge resterebbe tenuto a provvedere al mantenimento dell’altro pur se questo, astrattamente, potrebbe svolgere un’attività lavorativa.

Di recente, la Cassazione ha statuito che il rifiuto di un coniuge di accettare possibilità di impiego, di per sé non può essere considerato espressione di «renitenza a provvedere al proprio mantenimento», a meno che si dimostri che le offerte di lavoro fossero adeguate alla qualificazione professionale e alla dignità personale del coniuge, tenuto anche conto delle condizioni economiche e sociali godute in costanza di convivenza matrimoniale (Cass. n. 17347/2010).

Inoltre, nell’operazione di quantificazione dell’assegno il giudice deve considerare la durata del matrimonio e il contributo apportato dal coniuge alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge.

Ebbene, nel caso in esame, era emerso che la ricorrente avesse conseguito il titolo di ragioneria. Tale circostanza, unitamente alla giovane età (1976), tuttavia non è stato ritenuto sufficiente a ritenere sussistente un’effettiva possibilità di svolgere un’attività lavorativa retribuita.

Vi era inoltre, un evidente squilibrio delle condizioni economiche fra i coniugi e la possibilità del marito di provvedere alle esigenze della moglie. Cosicché tenuto conto della modesta durata del matrimonio è stata confermata la somma di 100,00 a titolo di assegno di mantenimento in favore della richiedente, come già stabilita in sede previdenziale.

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