Gli sms e le email fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentate

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Da più parti si ritiene che gli sms, le e-mail e possiamo aggiungere i WhatsApp,
non possono essere portati come elementi di prova agli atti di causa. Per taluni
casi, già oggetto di giudicato, è stato vero il contrario.
La recente giurisprudenza e da ultimo la Corte di Cassazione, riconosce come
piena prova dei fatti e delle cose rappresentate quanto è stato scritto via
e-mail o con gli sms.
I messaggi trasmessi con lo smartphone, meglio conosciuti con l’abbreviazione
sms (short message service), costituiscono piena prova di fatti e delle cose
rappresentate.
Dalla lettura delle sentenze si ricava un importante insegnamento: stare molto
attenti a ciò che si scrive ed al significato delle parole.
È uso comune scrivere disinvoltamente, o rispondere ai messaggi in maniera
affrettata, senza tener conto dell’effettivo contenuto delle parole, e di quello
che possono significare per coloro che ricevono il messaggio.
La conferma della validità degli sms, come piena prova, la si trova nella
recente sentenza della Corte di Cassazione n. 19155/2019, prima Sezione Civile,
depositata il 17 luglio 2019.
Viene statuito che “lo short message service (SMS) contiene la rappresentazione
di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito
dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle
cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la
conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia l’eventuale disconoscimento
di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata
previsto dall’art. 215, comma 2, c.p.c. poiché, mentre, nel secondo caso, in
mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la
scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice
possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di
prova comprese le presunzioni”.
I Supremi Giudici nella suddetta sentenza, ed a proposito delle e-mail,
richiamano altra sentenza della Corte di Cassazione, la n. 11606/2018, che in
tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, ha precisato che:
“il messaggio di posta elettronica (cd: e-mail) costituisce un documento
elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati
giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le
riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712
c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se
colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o
alle cose medesime”.
La sentenza precisa, tra l’altro, che la prova dev’essere valutata dal giudice
secondo il suo prudente apprezzamento e non è ammessa censura ex art. 360, primo
comma n. 5, codice procedura civile, tranne dedurre che il giudice ha male
esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova.
Da quanto innanzi gli sms e le e-mail – e aggiungiamo i WhatsApp (?) – hanno lo
stesso elemento di prova che l’art. 2712 c.c. attribuisce alla riproduzione
informatica e non sarà facile (almeno per i casi reali e riscontrati) sostenere
che il messaggio non corrisponde alla realtà fattuale e quella riprodotta.
Di seguito si riporta il testo dell’art. 2712 del codice civile:
Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni
fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di
cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro
il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose
medesime.

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