Nipoti come figli: hanno diritto al trasferimento se lo zio ha bisogno d’assistenza

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La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 42, co. 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 nella parte in cui non consente ad altro parente di persona con handicap di poter fruire del congedo straordinario.

L’amministrazione ha rigettato l’istanza di trasferimento, presentata da un dipendente. L’istanza è stata respinta per il fatto che l’assistito non era il padre, ma lo zio e come tale non rientrava nel novero dei congiunti disabili, per i quali l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 prevede il beneficio del congedo straordinario a favore del lavoratore che con lui convive.

Il dipendente sostiene, invece, che la particolare posizione di suo zio potrebbe farsi rientrare nell’ambito dei soggetti individuati dall’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001, tenuto conto anche del fatto che nessun altro familiare può farsi carico dell’assistenza dello zio.

< Il TAR ricorda che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 233 del 2005, n. 158 del 2007 en. 19 del 2009, ha esteso il novero dei soggetti legittimati al beneficio, sottolineando che la ratio dell’istituto in esame consiste essenzialmente nel favorire l’assistenza al disabile grave in ambito familiare e nell’assicurare continuità nelle cure e nell’assistenza.

Sottolineando l’essenziale ruolo della famiglia nell’assistenza e nella socializzazione del soggetto disabile , la Corte vuol mettere in rilievo che una tutela piena dei soggetti deboli richiede, oltre alle necessarie prestazioni sanitarie e di riabilitazione, anche la cura, l’inserimento sociale e, soprattutto, la continuità delle relazioni costitutive della personalità umana.

 

La limitazione della sfera soggettiva attualmente vigente può infatti pregiudicare l’assistenza del disabile grave in ambito familiare, allorché nessuno dei soggetti, indicati dalla norma in questione,sia disponibile o in condizione di prendersi cura dello stesso. La dichiarazione di illegittimità costituzionale è volta precisamente a consentire che, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti menzionati nella disposizione censurata, e rispettando il rigoroso ordine di priorità da essa prestabilito, un parente o affine entro il terzo grado, convivente con il disabile, possa sopperire alle esigenze di cura dell’assistito, sospendendo l’attività lavorativa per un tempo determinato e beneficiando di un’adeguata tranquillità sul piano economico.

D’altra parte occorre ricordare che il congedo straordinario di cui si discute è fruibile solo per l’assistenza alle persone portatrici di handicap in situazione di gravità debitamente accertata ai sensi degli artt. 3 e 4 della legge n. 104 del 1992, cioè a quelle che presentano una minorazione tale da «rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione».

Infine, non è superfluo rammentare che il legislatore ha già riconosciuto il ruolo dei parenti e degli affini entro il terzo grado proprio nell’assistenza ai disabili in condizioni di gravità, attribuendo loro il diritto a tre giorni di permessi retribuiti su base mensile, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992. Tale asimmetria normativa costituisce un ulteriore argomento a sostegno della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’omessa menzione di tali soggetti tra quelli legittimati a richiedere il congedo straordinario disciplinato nella disposizione impugnata.

Per tali motivi la Corte Costituzionale , sentenza 18.07.2013 n° 203 , dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.

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