PROSPETTIVE DI INTERVENTO PER UNA CULTURA DELLA MEDIAZIONE FAMILIARE

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Relazione tenuta dall’Avv. Emanuela Palamà in occasione della Cerimonia d’inaugurazione dell’anno della Mediazione 2013-2014, svoltasi il 19 settembre 2013 in Roma presso la prestigiosa Sala Capitolare del Senato della Repubblica

La querelle sulla obbligatorietà della mediazione civile e commerciale, quale strumento alternativo di risoluzione dei conflitti, è ritornata alla ribalta con il noto “decreto del fare” (Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69), che ha reintrodotto la mediazione obbligatoria per molte materie, in gran parte già previste dal D. Lgs. n. 28/2010, alla stregua di condizione di procedibilità delle relative controversie.

Pregevole è la ratio sottesa a tale intervento normativo, ossia l’obiettivo di promuovere e favorire la conciliazione tra le parti a seguito dello svolgimento dell’attività di mediazione, definita expressis verbis come “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa” (art. 1, lett. a) D. Lgs. N. 28/10 come novellato dal D. L. n. 69/13).

Dunque, l’obiettivo dell’attività di mediazione è il perseguimento di un accordo tra le parti in lite, raggiunto, con l’ausilio del mediatore, attraverso la valorizzazione ed il reciproco riconoscimento delle capacità negoziali e delle competenze decisionali di ciascuna di esse.

Alcuna attenzione, tuttavia, è stata sino ad oggi riservata, a livello istituzionale, ad una organica  disciplina nazionale delle modalità di gestione, diverse dalla lite giudiziaria, delle controversie che involgono le relazioni sentimentali legate ai rapporti familiari, pur essendo la famiglia “un luogo fisico e psichico di interazioni e di interessi … una realtà inizialmente biologica che, stante questo suo lato, può essere la fonte di conflitti devastanti tra i suoi membri e può essere addirittura il luogo di un’infezione perniciosa e funesta che infetta l’intera società[1].

Ben si comprende, allora, l’importanza del rapporto tra persona, famiglia e società: è in famiglia che l’individuo, nel rapporto con i suoi genitori, i nonni, i fratelli e le sorelle, i parenti e gli amici che la frequentano, impara ad educarsi all’altro e, dunque, al suo futuro e possibile matrimonio o convivenza ed alla famiglia che vorrà e potrà formare.

E’ opinione comune e diffusa che la famiglia sia la prima cellula della società civile, poiché essa rappresenta la formazione sociale primaria, nella quale ciascun individuo sviluppa la sua personalità e compie un percorso di crescita psico-fisica ed un’esperienza evolutiva di bisogni e di emozioni.

La persona si costruisce nel tempo e coniugi e genitori si diventa non solo per aver dato vita, biologicamente o giuridicamente, ad un patto o per aver generato un figlio, ma perché pedagogicamente e relazionalmente si sono realizzati dei rapporti di amore e di fedeltà, di educazione e di sviluppo[2], di rispetto per l’altro significativo e di solidarietà reciproca, rapporti che si esternano attraverso il linguaggio comunicativo nelle sue diverse forme, verbali, comportamentali e gestuali.

Molti blocchi dell’interazione dialettica tra i coniugi o tra i partner, che possono portare a vere e proprie disfunzioni del rapporto di coppia sino alla definitiva rottura, sono determinati assai spesso dalla progressiva mancanza di comunicazione, dal conseguente venir meno di una progettualità condivisa o condivisibile; mutatis mutandis dalla crisi della relazione affettiva della coppia, che approda, su iniziativa di uno o di entrambi i partner, alla separazione e, dunque, nella maggior parte dei casi, alla irreversibile rottura.

Sotto il profilo delle dinamiche emotivo-relazionali, i partner mettono in atto delle risposte comportamentali, nel contempo reattive ed adattive alla nuova situazione, che, in ragione delle diverse modalità di gestione del conflitto, incidono sulle risposte, a loro volta, attivate dai figli di fronte alla percezione delle variazioni del rapporto genitoriale, sia in funzione adattiva alla nuova situazione familiare che come “strategia” di richiamo su se medesimi dei genitori occupati dal conflitto.

Una lucida, interessante ed approfondita analisi delle dinamiche relazionali che si innescano nel rapporto di coppia ed in quello tra genitori e figli in conseguenza della vicenda separativa, e più in generale della crisi di coppia, è tracciata da Francesco Canevelli (psichiatra e psicoterapeuta) e Marina Lucardi (psicologa e psicoterapeuta), entrambi soci fondatori della Società Italiana di Mediazione Familiare, nel testo “La Mediazione Familiare. Dalla rottura del legame al riconoscimento dell’altro” (Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, 2008): gli Autori evidenziano con chiarezza espositiva le sintomatologie, non necessariamente patologiche o disfunzionali, manifestate dai figli delle coppie separate o in fase di separazione, in relazione alla loro età (prescolare, scolare, adolescenziale e  della giovinezza), ai propri vissuti in ambito familiare, alla fase del processo separativo e, soprattutto, alle modalità di gestione del conflitto da parte dei genitori, pre e post separazione.

In contesti siffatti, lo spazio neutro della Mediazione familiare offre alle coppie la straordinaria opportunità di superare la visione agonistica della conflittualità, di ripristinare il canale di comunicazione interrotto, attraverso il quale esternare le proprie posizioni, richieste, rifiuti, emozioni e bisogni personali, predisponendosi all’ascolto delle richieste, dei rifiuti, delle esigenze e degli stati emotivi dell’altro, riconoscendo quest’ultimo come proprio interlocutore attraverso la possibilità di “dirsi delle cose”, in un clima di reciproca fiducia e nell’ambito di un percorso teso alla ricerca di accordi condivisi e verificabili, inerenti in primis all’area della genitorialità, mediante il quale ciascuno dei partner finisce per riconoscere gradualmente l’altro, non solo come interlocutore, ma anche come “negoziatore”.

La fenomenologia delle interazioni costruttive che si manifestano nell’ambito della Mediazione familiare evidenzia il valore fondante della stessa quale vero e proprio servizio per la coppia in crisi, stante l’eccezionale opportunità di vivere un’esperienza di confronto, intesa sia come ambito di ascolto dell’altro e di esposizione di sé, sia come terreno più propriamente negoziale, in quanto la possibilità di fidarsi ed al tempo stesso di sottolineare i limiti di questa fiducia, anzi di ribadire la distanza da un altro significativo, è legata fondamentalmente ad un recupero di autostima, che consente di non temere di essere sopraffatti dall’altro né di avere bisogno di sopraffare per affermarsi.

Da questo punto di vista, la migliore garanzia per i figli non è tanto rappresentata dal raggiungimento di un accordo che eviti il protrarsi della conflittualità, quanto soprattutto dall’essere collocati al di fuori dell’area dei possibili strumenti di sopraffazione reciproca dei genitorie poter mantenere, in tal modo, un rapporto equilibrato con entrambi, senza essere “ostaggio” di alcuno di essi.

La Mediazione familiare diviene, pertanto, il luogo di passaggio offerto alle coppie separate, luogo da cui vengono scacciati i fantasmi della patologia, della riparazione del danno, dell’attribuzione della colpa e in cui trovano spazio e dignità la storia, il dolore e la progettualità[3], nella edificazione e nella reciproca accettazione di una nuova dimensione del “noi”, che si fonda sul riconoscimento dell’altro come “genitore separato”.

S’impone, dunque, un intervento a livello istituzionale e normativo per la diffusione ed il consolidamento di una nuova cultura della separazione della coppia, che non la stigmatizzi come evento patologico di difficile risoluzione, ma la consideri piuttosto un’esperienza, ancorché critica, da cui ripartire per una positiva riorganizzazione della vita di tutti i componenti del nucleo familiare, valorizzando l’istituto della Mediazione familiare, quale risorsa e strumento fondamentale di supporto alla famiglia in crisi e di migliore comprensione delle esigenze dei minori, se non addirittura come servizio per la coppia genitoriale da inquadrare istituzionalmente nell’alveo delle Politiche sociali e per la Famiglia.

Ciò implica la necessità, non solo di un incremento degli spazi di offerta di Mediazione familiare e, quindi, di operatori qualificati ed adeguatamente formati, ma anche di una contemporanea crescita della cultura della Mediazione familiare presso l’utenza, gli operatori del diritto, i Servizi sociali, pubblici e privati, i Consultori familiari, gli Enti territoriali ed ogni ambito della socialità (scuole dell’infanzia, primaria e secondaria, Università, diocesi).

Non può revocarsi in dubbio, d’altro canto, che il Mediatore familiare debba essere un professionista altamente qualificato e formato per poter facilitare la comunicazione tra i due partner, rimanendo ‘estraneo’, terzo ed imparziale rispetto alla coppia ed al conflitto, mantenendo quel distacco che gli consente di leggere correttamente i segnali ed i messaggi, verbali e non, che emergono durante le sessioni di mediazione, nell’interesse di entrambi e, soprattutto, dei figli.

Come già osservato in un mio contributo in materia, in occasione della partecipazione al V Forum Nazionale dei Mediatori, tenutosi il 28 giugno 2013 presso la Camera dei Deputati, Palazzo Marini, Sala della Mercede[4], il Legislatore italiano ha lasciato un grave vuoto normativo non occupandosi espressamente e con una disciplina nazionale organica di Mediazione Familiare, non definendo la figura, le competenze, il ruolo professionale e formativo del Mediatore familiare.

Si rende dunque necessario, anzitutto, inquadrare normativamente la Mediazione Familiare, tracciandone l’ambito operativo, istituendo la figura professionale del Mediatore Familiare quale professionista in possesso di requisiti ben specifici, accertati e riconosciuti mediante l’iscrizione in un apposito Albo dei Mediatori Familiari, disciplinandone gli ambiti di competenza.Ciò nella prospettiva di garantire la professionalità di chi si qualifica Mediatore Familiare ed esercita la professione come tale; il che impone l’elaborazione di un Codice deontologico del Mediatore Familiare, con un’elencazione di obblighi, sanzionabili in ipotesi di violazione, e l’introduzione di un Tariffario che renda trasparente all’utenza l’accesso al percorso di Mediazione Familiare.

Sotto altro profilo, occorre informare e far conoscere adeguatamente la Mediazione familiare – e, dunque, le caratteristiche dell’intervento mediativo, la sua funzione, la sua finalità ed i suoi obiettivi -, in primis presso l’utenza, per porla nelle condizioni di scegliere consapevolmente e scientemente se gestire il conflitto coniugale o, comunque, di coppia con l’ausilio della Mediazione familiare.

E’ questione assai dibattuta ancora oggi quella inerente alla natura volontaria o obbligatoria dell’accesso al percorso di Mediazione familiare ed è opinione largamente condivisa, ma certamente non univoca, che la volontarietà dell’accesso e la libertà di partecipazione all’esperienza di mediazione siano una caratteristica inderogabile del percorso mediativo, in quanto immediatamente connesse con il principio delle competenze (di esposizione di sé e di ascolto dell’altro, interlocutorie e negoziali) di ciascun componente della coppia.

A sommesso avviso della scrivente, tuttavia, una scelta volontaria può esplicarsi consapevolmente e responsabilmente solo da parte di chi conosca la Mediazione familiare, sa quali aspettative – di carattere emotivo-relazionale e negoziale – può ragionevolmente riconnettere al lavoro di mediazione; diversamente, solo un accesso “obbligato”, almeno in via preliminare ed al fine di ricevere un’adeguata consulenza di pre-mediazione a cura di professionisti esperti e competenti in materia, può consentire alla coppia di acquisire gli elementi necessari per decidere di avviare e/o proseguire il setting di Mediazione familiare e, in ultima analisi, scegliere volontariamente.  

Da qui la proposta normativa di istituire, almeno presso ciascun distretto di Corte di Appello, un Centro di Mediazione Familiare gratuito e di rendere la Mediazione familiare un percorso obbligatorio e gratuito nei casi in un cui sia proposto un giudizio di separazione personale dei coniugi, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, o un procedimento relativo all’affidamento ed al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, quando vi sia conflittualità nella coppia.

A tal fine, potrebbe essere previsto un vero e proprio passaggio “obbligato” dell’iter procedimentale: un paio di incontri preliminari tra i coniugi o tra i partner in conflitto ed il Mediatore familiare, tesi, da un lato, a chiarire le modalità e gli obiettivi del percorso mediativo in fieri e, dall’altro, a consentire al Mediatore di valutare la mediabilità della coppia e, dunque, la concreta possibilità di iniziare il vero e proprio lavoro di mediazione familiare. Così strutturata, la Mediazione familiare potrebbe rivelarsi una risorsa fondamentale sia per la coppia genitoriale disponibile a proseguire il percorso, sia per gli inevitabili effetti deflattivi del contenzioso in ambito familiare che ne discenderebbero.

In proposito, si evidenzia come l’attuale formulazione dell’art. 337 octies c.c., come introdotto nel tessuto codicistico dallo schema di decreto legislativo n. 14 del 2013, approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 luglio 2013, in attuazione della legge delega n. 219/2012, in materia di equiparazione tra figli legittimi e figli nati fuori del matrimonio, si è limitata, al comma 2, alla tralaticia riproduzione del secondo comma dell’abrogato art. 155 sexies c.c. ( introdotto dalla L. n. 54/2006 sull’affido condiviso), recitando: “Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”.

Ancora una volta, dunque, si è persa l’occasione per promuovere, a livello normativo ed istituzionale, un passaggio preliminare obbligatorio presso un centro di mediazione per le coppie in disaccordo, che potesse permettere loro di valutare l’utilità del percorso mediativo, lasciando così inalterata la già impropria formulazione del dato letterale, che sin dalla introduzione della norma con la L. n. 54/06, ha creato non poche difficoltà interpretative, in quanto le espressioni “tentare” e “raggiungere un accordo” si addicono più alla conciliazione che alla mediazione. Inoltre, si parla ancora oggi di “esperti” e non di mediatori, evidentemente nell’intento di ricondurre la figura del mediatore familiare a quelle già esistenti senza creazione ex novo di una nuova professionalità (ovviamente ai fini processuali e limitatamente al processo).

Un risultato ancora più auspicabile sarebbe, a monte, prevedere l’obbligo per i professionisti e/o gli operatori a cui la coppia in disaccordo si rivolge – avvocati, assistenti sociali, psicologi, psicoterapeuti, ma anche docenti o chi opera nelle parrocchie o in centri di accoglienza di famiglie in difficoltà – di  informare la coppia stessa circa l’opportunità offerta dalla Mediazione familiare di meglio gestire il proprio conflitto, per il benessere dei partner e soprattutto della prole.  

Si appalesa, dunque, di fondamentale importanza divulgare la conoscenza e la cultura della Mediazione familiare in ogni ambito della socialità.La posizione dell’inviante e la qualità del suo messaggio rispetto alle caratteristiche, al significato, agli obiettivi ed all’utilità dell’intervento di Mediazione familiare incidono, invero, in maniera significativa sulla decisione della coppia di sperimentare il percorso mediativo, innanzitutto sotto il profilo della definizione delle aspettative degli utenti del servizio.

Tuttavia, una corretta consulenza di pre-mediazione impone prima ancora l’adeguata ed approfondita conoscenza della Mediazione familiare da parte dell’inviante, che ad oggi appare, per contro, piuttosto superficiale.

A tale proposito, vorrei richiamare l’attenzione del lettore su un aspetto, purtroppo totalmente trascurato, afferente la promozione della cultura della Mediazione familiare tra i dirigenti ed il corpo docente della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria.

Gli insegnanti, per il ruolo pedagogico che rivestono, possono essere i primi invianti della coppia genitoriale separanda o già separata al percorso di Mediazione familiare, ogniqualvolta rilevino uno scarso rendimento scolastico del figlio, comportamenti aggressivi o di isolamento del medesimo, non resi manifesti precedentemente a tale evento, o comunque agiti del minore sintomatici di un disagio, non necessariamente disfunzionale, legato alla vicenda separativa dei genitori in fieri o già allo stadio conclusivo.

E’ ultroneo ripetere che ai fini di un’adeguata consulenza di pre-mediazione occorre far conoscere ai possibili invianti la natura, le caratteristiche e l’utilità dell’intervento di Mediazione familiare.

Analogo discorso, pertanto, vale per i Consultori familiari o per chi opera nell’ambito delle parrocchie, alle quali si rivolga chi vive quotidiane criticità del proprio rapporto di coppia.

Alla luce di quanto innanzi esposto, occorre:

1)      Sollecitare un intervento normativo in materia di Mediazione Familiare, quale strumento di prevenzione primaria dei disagi emotivo-relazionali, non patologici, dei componenti della famiglia in crisi e di gestione del conflitto di coppia e genitoriale, nella prospettiva di salvaguardare il benessere preminente dei figli, nonché al fine di definire e regolamentare il profilo professionale e formativo del Mediatore Familiare;

2)      Diffondere in modo capillare la cultura della Mediazione Familiare:

a)      mediante un’adeguata conoscenza ed una corretta informazione diretta all’utenza ed agli operatori giuridici (magistrati ed avvocati) e dei servizi sociali, pubblici e privati, circa la natura e la funzione della Mediazione Familiare, intesa come spazio neutro di incontro, nel quale la coppia in crisi è posta nelle condizioni di recuperare e mettere in atto le proprie risorse, competenze e capacità sia nel gestire il conflitto nel migliore dei modi possibili che di negoziare le condizioni e le scelte inerenti alla riorganizzazione della propria quotidianità:

b)      attraverso un’attività di sensibilizzazione al ricorso e/o all’invio della coppia alla Mediazione familiare per la gestione dei conflitti, che andrà espletata in ambito scolastico (presso la Scuola dell’infanzia, primaria e secondaria e l’Università), in ambito giudiziario e forense, presso gli Enti territoriali, i Consultori familiari, le diocesi;

c)      realizzare i suddetti obiettivi attraverso il coinvolgimento diretto degli Enti territoriali, delle Scuole, degli Ordini territoriali delle diverse professionalità coinvolte (avvocati, psicologi, ecc.), della Magistratura, dell’Università nell’auspicio di promuovere e favorire una rete interattiva tra tutti i servizi, nell’interesse della famiglia e dei figli e, dunque, in ultima analisi della società civile.

La nostra sfida è far comprendere che per la coppia in conflitto sperimentare un percorso di mediazione significa non uscire né vincitori né vinti da una battaglia, ma, piuttosto, “vincenti insieme” per una vita più serena per sé e per i figli.

Avv. Emanuela Palamà



[1] CORSI M. – SIRIGNANO C., La mediazione familiare. Problemi, prospettive, esperienze, Vita e Pensiero, Milano, 2007, 3 e ss.

[2] CORSI M. – SIRIGNANO C., ibidem.

[3] CANEVELLI F. – LUCARDI M., La Mediazione Familiare. Dalla rottura del legame al riconoscimento dell’altro, Bollati Boringhieri editore s.r.l., 2008, 202, 248.

[4] PALAMA’ E., La riforma dell’istituto della Mediazione Familiare, consultabile sul sito https://www.ami-avvocati.it/la-riforma-dellistituto-della-mediazione-familiare/

 

 

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