Gatto collocato presso il coniuge separato. Intervento della Cassazione

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Gatto collocato presso il coniuge separato con regolamento di spese analogo a quello del figlio minore
Il gatto di casa, così come il cane, è uno di famiglia. È così che quando l’amore finisce e i coniugi si separano risulta legittimo che essi stabiliscano le condizioni della permanenza in casa e del mantenimento del micio, che resta nell’ambiente domestico, laddove la figlia minore dei separati è collocata presso la madre, che si fa carico delle spese ordinarie: quelle straordinarie saranno sostenute in pari misura dai coniugi. È quanto emerge dal decreto pubblicato il 13 marzo dalla nona sezione civile della Cassazione (giudice estensore Giuseppe Buffone).

Nulla da ridire sulla clausola numero 9 delle condizioni di separazione fra i coniugi, ai quali deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia nell’ambito dell’attuale ordinamento giuridico. E il motivo è da ricercarsi innanzitutto nell’entrata in vigore della legge 201/10, che ratifica ed esecuzione della convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, sottoscritta a Strasburgo il 13 novembre 1987. Ma sulla decisione del giudice “pesa” anche la recente riforma del condominio (legge 220/12), che ha modificato l’articolo 1138 Cc disponendo che «le norme del regolamento» condominiale «non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». Si rende dunque necessaria, ragiona il giudice, «un’interpretazione evolutiva e orientata delle norme vigenti», che «impone di ritenere che l’animale non possa essere più collocato nell’area semantica concettuale delle “cose”», secondo l’impostazione tradizionale, «ma debba essere riconosciuto come “essere senziente”» (cfr. il trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, firmato in Portogallo il 13 dicembre 2007). Il provvedimento del magistrato milanese rimanda anche all’articolo 923 Cc e seguenti: se allora l’animale non è una «cosa» ma un essere senziente, risulta quindi legittima facoltà dei coniugi quella di regolarne la permanenza presso l’una o l’altra abitazione e le modalità che ciascuno dei proprietari deve seguire per il mantenimento.

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