Cassazione: per i maltrattamenti in famiglia non è necessario il dolo specifico, basta perseguire nell’attività vessatoria

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I giudici di legittimità l’hanno deciso con la sentenza n. 10939 del 21 marzo 2012, giunta nella fase finale di una delicata vicenda che aveva per protagonista un uomo condannato in appello per i reati di maltrattamento, estorsione e tentata estorsione in danno della zia convivente e tutrice.
L’imputato aveva poi proposto ricorso per Cassazione assumendo che in sede di merito non era stata fatta una corretta valutazione dell’elemento soggettivo di cui all’art. 572 del codice penale, e che peraltro secondo la giurisprudenza della stessa Corte di legittimità la mera reiterazione degli atti lesivi non era di per sé sufficiente a far ritenere la sussistenza del suddetto elemento, in considerazione della natura abituale del reato.
Nel ricorso l’imputato, quindi, a mezzo del suo difensore, affermava che nella specie si sarebbe trattato unicamente di condotte estemporanee ed occasionali, incapaci di dare corpo alla fattispecie contestata.
Ma la seconda sezione penale della Cassazione ha respinto il ricorso precisando che « nel delitto di maltrattamenti in famiglia il dolo è generico, sicché non si richiede che l’agente sia animato da alcun fine di maltrattare la vittima, bastando la coscienza e volontà di sottoporre la stessa alla propria condotta abitualmente offensiva: ciò in quanto 


la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti non implica l’intenzione di sottoporre il convivente, in modo continuo ed abituale, a una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria».
Inoltre, continuano i giudici, lo stesso imputato non aveva negato il dato obiettivo della reiterazione degli atti lesivi ma si era limitato a sostenere che questi non erano sorretti dall’intenzionalità della vessazione; ma poiché l’elemento soggettivo del reato è il dolo generico, tanto basta a configurare la fattispecie lesiva.

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