A CENA CON UNA COLLEGA. IL GIUDICE: È INFEDELTÀ

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Il giudice, anche se non c’era la prova dell’infedeltà, ha valutato complessivamente il comportamento del coniuge


Un vecchio proverbio spagnolo dice «la buona fede non è mutevole». E lo dice anche il tribunale di Treviso che ha addebitato la separazione a un marito che aveva taciuto alla moglie la sua amicizia con una compagna di lavoro. Amicizia, che si traduceva in una frequentazione fuori dagli schemi: qualche vacanza, qualche cena tête-à-tête, insomma qualche apparente e ripetuta evasione dalle regole.
«E’ solo amicizia trasformata nell’immaginazione e nella fantasia di mia moglie» aveva spiegato il marito al giudice. Una precisazione inutile la sua perché, secondo il magistrato, che ha condannato l’ex marito a pagare l’assegno di mantenimento di 750 euro, l’uomo, viaggiando con un’altra donna ha comunque violato l’obbligo di fedeltà, così come previsto dal contratto di matrimonio. In pratica il tribunale ha detto che, se anche la prova dell’adulterio non c’era nella sua interezza, tutto il comportamento del coniuge valutato nella successione degli episodi costituiva una evidente violazione della fiducia nei confronti della moglie.
Da qui la pronuncia dell’addebito e la condanna al pagamento dell’assegno di mantenimento in favore della signora. La legge infatti non elenca più, come una volta quando si parlava di separazione per «colpa», le ipotesi specifiche di violazione di doveri (adulterio, eccessi, volontario abbandono) ma si limita a dare una indicazione senza confini. Ora la separazione viene addebitata al coniuge che genericamente viola i doveri che derivano dal matrimonio; e il tribunale di Treviso ha ritenuto che la lesione della fiducia, anche se non consistente in un vero e proprio adulterio, realizzasse una ipotesi di «addebito». Insomma verrebbe da concludere, quasi scherzosamente, il nostro marito con le sue menzogne, forse innocenti, è stato punito allo stesso modo di chi avesse realizzato un vero e proprio adulterio. Anche nei peccati, forse, vale la pena di andare fino in fondo?


CORRIERE DELLA SERA

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