L’AMI contro il decreto "Liberalizzazioni"

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Ill.mo Sig.


Presidente del


Consiglio Nazionale Forense


Prof. Avv. Guido ALPA


 


 


Ill.mo Sig.


Presidente Nazionale dell’OUA


Avv. Maurizio DE TILLA


 


 


Roma, il 21 febbraio 2012


 


L’AMI Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani aderirà alla astensione dalle udienze del 23 e 24 febbraio 2012 condividendone in pieno le ragioni che l’hanno determinata.


L’abrogazione delle tariffe minime e massime, lo svilimento della pratica forense, l’obbligo di un preventivo delle competenze professionali su un’attività aleatoria, la previsione di società di professionisti con soci di capitale, rappresentano un grave attacco al decoro e alla indipendenza dell’Avvocatura italiana.


1) Le tariffe forensi restano una forma di garanzia soprattutto per il cittadino. Abrogarle significa dare il via ad una sorta di totale deregolamentazione che non aprirà certamente le porte ad una politica che tenga conto del binomio indissolubile costi/qualità delle prestazioni professionali degli avvocati a tutto discapito dei cittadini. Se da un lato l’abrogazione dei minimi tariffari produrrà una disperata “corsa al ribasso “ dei giovani avvocati (e non solo dei giovani) pur di sopravvivere a logiche di concorrenza spietata, dall’altro l’abrogazione dei massimi tariffari potrebbe segnare “ un gioco al rialzo”  e l’inizio di vere e proprie speculazioni da parte degli studi legali  maggiormente inseriti nel mercato del lavoro che hanno il monopolio in determinate realtà e materie.


Dunque l’abrogazione delle tariffe aumenterebbe ancora di più il divario tra i grandi e piccoli studi legali senza per questo consentire ai giovani avvocati un inserimento autentico, libero e senza condizionamenti nel mondo del lavoro.


2) Inoltre l’introduzione dell’obbligo, da parte del difensore, di predisporre un preventivo di spesa per attività processuali dalla durata e complessità  incerte, rischia di creare ulteriori disagi atteso che sarebbe l’avvocato chiamato a valutare del tutto soggettivamente, se non arbitrariamente, il livello di complessità della vertenza in assenza di qualsivoglia parametro certo sull’effettivo grado di difficoltà dell’incarico e del  suo valore.


3) La previsione di società di professionisti con soci di capitale è quanto di più irragionevole e pericoloso possa esistere per la conservazione della libertà ed indipendenza dell’avvocatura. Tale innovazione aprirebbe il fianco a società di professionisti controllati dai poteri forti, sia della politica che della malavita e ciò sarebbe in contrasto con i più elementari princìpi costituzionali.      


4) La pratica forense, momento decisivo per la formazione dell’aspirante avvocato, non può prescindere nemmeno parzialmente da una assidua frequentazione delle aule di giustizia e dello studio legale presso cui viene espletata. La soluzione prospettata dal decreto “liberalizzazioni” appare del tutto inidonea perché proiettata essenzialmente ad un percorso di formazione professionale lontano dalle aule di giustizia e dagli aspetti pratici della professione forense in favore di un approccio teorico ed accademico.     






Il decreto del Governo Monti, peraltro privo di qualsivoglia confronto democratico e costruttivo con il mondo dell’Avvocatura, è la palese dimostrazione di una politica trasversale e bipartisan volta a mortificare le professioni nel quadro di liberalizzazioni selvagge finalizzate alla raccolta di consensi popolari e non alla soluzione di problemi di cui è effettivamente afflitto da decenni il mondo forense e soprattutto quello giudiziario. 


Dati statistici alla mano emerge che la classe forense italiana sia la più inflazionata e di fatto la più liberalizzata nel mondo.


In Italia sono iscritti all’albo circa 240.000 avvocati. In nessun altro Paese occidentale si registra un simile fenomeno. Una significativa parte degli avvocati ha evidenti difficoltà professionali e finanziarie dovute alla sovrabbondanza di avvocati sul territorio nazionale.


Emerge, semmai, l’esigenza opposta di fermare l’accesso indiscriminato alla professione forense, attuare politiche autentiche (e non di facciata) per le nuove generazioni di avvocati e procedere alla cancellazione dall’albo di quanti non posseggono i requisiti di legge.


E’ indubbio che il mondo forense italiano si sia storicamente reso corresponsabile di questa inflazione di iscritti, ma i rimedi proposti da suddetto decreto sono peggiori del male.


L’avvocatura tutta è dunque chiamata a ritrovare la necessaria unità e concertazione al fine di combattere l’insulsa ventata di liberalizzazioni che non mirano certo al salto di qualità della giustizia, ma a “punire” demagogicamente la professione forense con la falsa prospettiva di ridurre i costi del cittadino per esercitare i propri diritti in giudizio.


L’avvocatura rappresenta un diritto costituzionalmente garantito in favore del cittadino (art. 24 Cost.).






Indebolire e svilire la professione forense significa implicitamente indebolire la garanzia per il cittadino di essere difeso e rappresentato da un avvocato libero e decoroso.


È evidente che il Governo abbia frainteso i necessari principi di trasparenza con una sorta di “commercializzazione” della professione forense.


Tale grave confusione non può trovare un ‘avvocatura inerme e passiva.


L’AMI pertanto approva in toto le posizioni del CNF e dell’OUA e darà in ogni sede ed occasione il suo contributo per la difesa dell’autentico ruolo sociale e costituzionale dell’avvocato.


 


Avv. Gian Ettore Gassani


Presidente Nazionale AMI



 

Commenti su L’AMI contro il decreto "Liberalizzazioni"

  1. emanuela galati

    questo momento storico così singolare impone un’avvocatura coesa, che graniticamente sappia difendere la dignità di una professione che ha nel suo dna la difesa dei diritti civili. Un solo motto: l’avvocatura non sarà mai asservita a banche ed assicurazioni!! Un plauso al collega Gassani per la sua chiarezza espositiva.

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